Danno alla persona ed all'immagine

Il danno alla persona (inteso in senso ampio) è una nozione che contempla tutto l'insieme dei danni, patrimoniali e non, che un soggetto subisce in conseguenza di un evento illecito. All'interno di questo insieme più ampio possiamo ritagliare la categoria dei danni alla persona in senso stretto (altrimenti definito danno biologico), intesi quali danni subiti primariamente e direttamente sulla sua persona dal soggetto leso da un illecito.

Tale nozione, di elaborazione pretoria, ancor oggi non ha ricevuto un recepimento normativo organico e completo; le uniche regolamentazioni si sono avute infatti in normative settoriali come il D.lgs.38/2000 (che aggiorna il sistema di indennizzi previsto per gli infortuni sul lavoro prevedendo anche l'indennizzo del danno biologico) ed il Dl 70/2000 (recante la disciplina della liquidazione del danno biologico e del danno morale in ipotesi di danno alla persona di lieve entità e per altro decaduto in seguito a mancata ratifica del Parlamento) che nulla hanno chiarito (né d'altronde potevano fare) circa la nozione generale del danno biologico e/o le modalità per la liquidazione del medesimo.

L'esperienza giurisprudenziale è dunque punto di riferimento obbligato nella trattazione dell'istituto il quale ha, nella propria evoluzione, il proprio fondamentale spartiacque nella pronuncia sulla legittimità costituzionale dell'art.2059 del codice civile pronunciata dalla Corte Costituzionale nel 1986 (sentenza numero 184).

Prima di tale data, nel valutare la risarcibilità del danno alla persona la giurisprudenza limitava il proprio interesse a due soli profili: il peggioramento delle capacità produttive del soggetto (lucro cessante) ed i patimenti sopportati in ragione della lesione (c.d. danno morale). Al di fuori del 2059 c.civ. dunque, il danno ingiusto di cui all'art.2043 del codice civile era individuato nella limitazione della capacità lavorativa generica, ossia l'astratta capacità di lavoro del soggetto; venendo ad incidere negativamente su questa, l'invalidità permanente comportava un danno di natura patrimoniale proporzionale al reddito della persona lesa e capitalizzato per il numero degli anni di lavoro a venire.

Tale sistema presentava tuttavia un duplice limite: per un verso infatti non si riusciva ad assicurare un ristoro (se non in virtù di una mera fictio) a quanti, privi di un reddito proprio, si trovavano comunque a subire un danno alla propria persona (disoccupati, casalinghe ecc.); di converso inoltre non si riusciva a giustificare l'entità del risarcimento quando la lesione non avesse un riflesso sul guadagno (come nel caso della prevalenza del capitale sul fattore umano nell'ambito dell'attività economica svolta). Un sistema di calcolo tabellare fondato sul parametro del danno personale aveva inoltre la iniqua conseguenza di indennizzare diversamente menomazioni fisiche di eguale entità favorendo le persone più ricche.

Consapevole che il danno alla persona dovesse essere ancorato ad un riferimento alla lesione di interessi umani che prescindessero dalla capacità lavorativa, la giurisprudenza iniziò così un lungo cammino verso l'elaborazione del concetto di danno biologico. I primi tentativi si rivolsero a sfere diverse di danno come il danno alla sfera sessuale, il danno estetico, il danno alla vita di relazione alle quali tutte si cercò di offrire ristoro in via equitativa fondandosi sul disposto dell'art.1223 del codice civile.

Il passo decisivo fu compiuto tuttavia dalla Corte Costituzionale la quale, con le sentenze 87 ed 88 del 1979, affermò la legittimità costituzionale dell'art.2059 del codice civile giustificandola col fatto che la lesione del diritto alla salute rientrasse nella nozione di danno ingiusto di cui all'art.2043 cod. civ. Nella pronuncia si affermava infatti il carattere assolutamente primario ed assoluto del diritto alla salute, tutelato dalla Costituzione non solo come interesse della collettività ma anche come diritto fondamentale del singolo, direttamente applicabile anche nei rapporti tra i singoli. La sua violazione costituisce dunque un atto illecito e legittima al risarcimento del danno in via autonoma, indipendentemente dalle conseguenze sulla capacità produttiva (concetto ribadito dalla Corte di Cassazione che si esprime per la prima volta positivamente in tal senso con la sentenza 3675 del 1981).

Da quel momento in avanti si delinea allora la nozione di danno biologico inteso come "menomazione dell'integrità della persona in sé e per sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica". In una tale configurazione il danno biologico assorbe dunque tutte quelle specie di danno precedentemente elaborate dalla giurisprudenza come il danno estetico ed il danno alla vita di relazione (si vedano in tal senso ad esempio le pronunce della Cassazione civile n-10762 del 1999 e della Cassazione civile numero 12740 del 1999).

Il concetto venne poi meglio chiarito dalla Corte Costituzionale la quale, con la sentenza 184 del 1986 ebbe modo di precisare che il danno biologico è distinto dal danno morale di cui all'art.2059 ed è fondato sulla lesione diretta del diritto alla salute tutelato dall'art.32 della Costituzione. La Corte distinse in particolare il danno evento, che è intrinseco al fatto illecito in quanto costituito dalla lesione (la menomazione dell'integrità psico fisica del soggetto), dal danno conseguenza, ossia dalle conseguenze dannose del fatto collocandoli tuttavia entrambi nell'ampio genus del danno patrimoniale, soluzione accolta proprio per non limitare la risarcibilità del danno biologico.

Da quella pronuncia in avanti il concetto di danno biologico non è stato modificato dalla giurisprudenza la quale ha piuttosto precisato come per esso si debba intendere qualsiasi lesione della integrità psico fisica che abbia riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita. Non bisogna riferirsi dunque solo alla sfera produttiva ma anche a quella spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ogni altro ambito in cui il soggetto svolge e realizza la propria personalità. Questo carattere omnicomprensivo del danno biologico ha finito ovviamente con l'assorbire tutte le voci di danno precedentemente elaborate dalla giurisprudenza (danno estetico [il quale, si badi bene, rientra nei danni patrimoniali quando lede la capacità produttiva del soggetto, come nel caso di una fotomodella, e va pertanto in questi casi liquidato due volte], danno alla vita sessuale [riconosciuto ad esempio al congiunto di un soggetto leso il quale non può più avere rapporti sessuali; la lesione costituisce una specie del danno alla vita di relazione e viene ad incidere nell'ambito dei diritti familiari inviolabili e reciproci tra i conugi, Cass. 6607/86], danno alla vita di relazione, danno alla capacità lavorativa generica, il danno "edonistico" [per il mancato godimento del congiunto, liquidabile nella misura della metà del danno morale, Cassazione 451/2000]) le quali continuano tuttavia ad avere una rilevanza quali componenti del danno biologico nel momento in cui bisogna giungere ad una sua liquidazione. L'analisi del contenuto del danno biologico e delle sue componenti non può a questo punto non considerare il danno biologico di natura psichica, ossia quei danni che interessano il funzionamento della psiche ed i suoi processi mentali, danni che non si concretizzano in una menomazione organica o e/o neurologica che sia evidenziabile con esami di laboratorio. Quale malattia ed alterazione della psiche tale danno si distingue allora dall'angoscia e dal patema d'animo che possono conseguire all'accadimento di un fatto illecito (potendo ad esempio manifestarsi in una fobia, in un'ansia permanente o in una ossessione). Sul piano concreto la differenza tra i due tipi di danno non è tuttavia agevole tanto che, per esempio, la giurisprudenza (Sgrilli c. Colzi, Corte Cost. 27 ottobre 1994, n.372) per distinguere i due danni, ha fatto riferimento ai criteri della durata e della intensità del turbamento psichico (la Corte ha più esattamente richiesto la sussistenza di una patologia di natura psichica consolidata ed accertata in sede medico - legale), criteri che non tengono invece conto della differenza tra danno evento e danno conseguenza invece delineata in generale dalla Corte Costituzionale per individuare esattamente il danno biologico. Interessanti applicazioni del danno biologico psichico si sono avute nel campo del diritto del lavoro ove si è risarcito ad esempio l'esaurimento nervoso determinato da un illegittimo licenziamento (Cass. Sez. Lavoro, 411/90) o di dequalificazione delle sue mansioni (Pretura di Roma, 17/4/1992, Calzolari c B.N.L.)

Sul piano soggettivo invece la risarcibilità del danno biologico è stata assicurata anche a favore del nascituro, il quale non è ancora soggetto dell'ordinamento e non ha il diritto di nascere ma ha una legittima aspettativa di nascere e di nascere come soggetto sano (Trib. Verona, 25/1990, principio poi confermato dalla Cassazione 11503/93- sarebbe però qui opportuna una specifica legislazione, sul modello del Congenital Disabilities Act 1976). In questo caso, inoltre, la giurisprudenza ritiene risarcibile anche il danno biologico subito dagli stretti congiunti del soggetto leso per la impossibilità di avere una normale vita di relazione.

Discussioni di converso si hanno anche riguardo alla possibilità di far valere, da parte dei congiunti, il danno biologico della vittima principale. Qui la giurisprudenza si è al lungo divisa su due posizioni: secondo una prima posizione la morte della persona fa istantaneamente sorgere il diritto al risarcimento che entra nell'asse ereditario e si trasmette agli eredi; al contrario altra parte della giurisprudenza affermava il carattere personalissimo e dunque la natura intrasmissibile del diritto alla salute escludendo dunque la possibilità di agire iure hereditario per il risarcimento del danno biologico. Il punto intermedio tra le due teorie è stato invece trovato ancora una volta trovato dalla Cassazione la quale ha affermato, (11169/94 e 8177/94) secondo la quale se dal fatto illecito deriva prima una menomazione e, dopo una fase di malattia, la morte del soggetto leso, allora gli eredi possono far valere il diritto al risarcimento del danno biologico subito dal congiunto in quel periodo. Il risarcimento non spetta dunque nel caso in cui la persona sia deceduta istantaneamente con il fatto lesivo.

Indennizzo diretto

Il risarcimento diretto in caso di incidente tra veicoli, prevede che chi ritiene di avere ragione nell'essere il danneggiato si rivolga direttamente alla propria assicurazione, dalla quale vedrà liquidato il danno subito. Sarà poi la propria assicurazione a rivalersi su quella del danneggiante. In pratica il danneggiato presenta la richiesta del risarcimento diretto (con raccomandata A.R., o con consegna a mano, telegramma, telefax o e-mail, o secondo le modalità previste dal contratto) alla propria assicurazione che, ricevuta la richiesta, comunica immediatamente i dati  all'assicurazione di chi è ritenuto responsabile del sinistro, per verificare la copertura assicurativa e le modalità del sinistro, e attua il risarcimento secondo i tempi ed i modi previsti dalla legge.

Dal 20 marzo 2012, è obbligatorio esperire preventivamente al giudizio la procedura di conciliazione, di cui al D.Lgs. n.28/2010.